venerdì 29 settembre 2006
nunc est ridendum
A volte basta davvero poco per ritrovare il sorriso e non sentirsi "alieni" in un mondo di cieca ipocrisia.
saggezza antica, tragedia moderna
Chi vi vuole bene, vi fa paura.
(Aristofane)
(Aristofane)
(da www.aforismi.org)
Ah, beh. Allora dovrò proprio farmene una ragione...
lunedì 25 settembre 2006
domenica 24 settembre 2006
corsi e ricorsi (alla violenza, prima o poi)
(venerdi 22 settembre, ore 11 circa, in Orribilandia)
ziaMaina: Mi sono iscritta al corso di scrittura creativa presso l'Arci: ma vedo che nel programma delle lezioni scrivono: "Per ottenere il massimo risultato, viene richiesto a ciascuno un minimo di disponibilità e di voglia di mettersi in gioco." Cosa avranno voluto dire? Collega femmina: Probabilmente significa che devi essere pronta a metterti in discussione e a raccontarti davanti agli altri.
Collega maschio: E ora diese lession no e bastarà de sicuro.
(traduzione per i non veneti: " e allora dieci lezioni non basteranno di sicuro")
sabato 23 settembre 2006
donne al verde
Tempo fa Luciana Littizzetto descriveva alcune tipologie di donne verdura, un vero e proprio "pinzimonio femminile".
Beh, anche io faccio parte di quel disegno vegetariano.
Sono la donna basilico, per la precisione.
Della stessa famiglia della menta, ma più intrigante.
Intensamente profumata, brillante e fresca.
Dove la menta è forte e rinfrescante, io sono aromatica e quasi ipnotica.
Più che altro stordisco gli interlocutori con la mia loquacità.
Ma basta poco per ferirmi: se non mi trattano con delicatezza, subito mi sciupo e poi annerisco.
E, poi, ho l'occhio pesto, ovviamente.
Del resto, se fossi nata a Bologna, anzichè a Genova, avrei avuto l'occhio ragù.
Che non è proprio un bel vedere, in effetti.
Beh, anche io faccio parte di quel disegno vegetariano.
Sono la donna basilico, per la precisione.
Della stessa famiglia della menta, ma più intrigante.
Intensamente profumata, brillante e fresca.
Dove la menta è forte e rinfrescante, io sono aromatica e quasi ipnotica.
Più che altro stordisco gli interlocutori con la mia loquacità.
Ma basta poco per ferirmi: se non mi trattano con delicatezza, subito mi sciupo e poi annerisco.
E, poi, ho l'occhio pesto, ovviamente.
Del resto, se fossi nata a Bologna, anzichè a Genova, avrei avuto l'occhio ragù.
Che non è proprio un bel vedere, in effetti.
giovedì 21 settembre 2006
lucida follia
And I find it kind of funny
I find it kind of sad
The dreams in which I'm dying
Are the best I've ever had
I find it hard to tell you
'Cos I find it hard to take
When people run in circles
It's a very, very
Mad World
I find it kind of sad
The dreams in which I'm dying
Are the best I've ever had
I find it hard to tell you
'Cos I find it hard to take
When people run in circles
It's a very, very
Mad World
(Tears For Fears "Mad World" )
(qui la traduzione)
mercoledì 20 settembre 2006
aperture mentali
Sono stufa di sentirmi dire che mi devo "aprire" alla vita.
Sono forse un ombrello?
O una scatoletta di tonno?
E comunque, il prossimo che me lo dice, lo apro io.
Ma in due.
Come un'anguria.
Sono forse un ombrello?
O una scatoletta di tonno?
E comunque, il prossimo che me lo dice, lo apro io.
Ma in due.
Come un'anguria.
punti di vista
Cielo grigio.
Un'umidità tale che arriccia perfino i pensieri.
Mal di testa persistente.
In giornate come oggi non posso pretendere che la vita sia meravigliosa.
Ma mi accontenterei che fosse almeno guardabile.
Un'umidità tale che arriccia perfino i pensieri.
Mal di testa persistente.
In giornate come oggi non posso pretendere che la vita sia meravigliosa.
Ma mi accontenterei che fosse almeno guardabile.
martedì 19 settembre 2006
identità cercasi
I find sometimes it’s easy to be myself
Sometimes I find it’s better to be somebody else
Sometimes I find it’s better to be somebody else
(Dave Matthews, "So much to say")
lunedì 18 settembre 2006
un sorso, un istante, una vita
Dovevo incontrare un’amica al solito posto, per bere qualcosa assieme e condividere una delle tante fette delle nostre vite.
Era tardo pomeriggio e uno stupido, fastidioso vento caldo mi accolse appena scesi in strada.
Un'aria umida, appiccicosa, odiosamente estiva e mi avvolgeva come una pellicola trasparente.
Per un attimo fui tentata di rientrare in casa, a cercare il conforto e la fresca compagnia dell’aria condizionata: ma lasciai perdere l'idea, quindi continuai a camminare, mentre l’afa diventava tutt’uno con i miei vestiti.
Il locale distava poche centinaia di metri da casa mia, non più di dieci minuti di cammino.
Trovato un tavolino libero sotto la tettoia davanti la vetrata del locale, mi sedetti e sistemai la borsa sulla sedia accanto a me.
Immaginavo che avrei dovuto aspettare un po’: la mia amica aveva spesso dei piccoli imprevisti che la facevano arrivare in ritardo; ma sapeva sempre farsi perdonare, raccontando le sue avventure con un tono talmente ironico e divertente che ogni volta riusciva a cancellare il fastidio d’averla aspettata.
Decisi di ordinare comunque da bere, per rendere più sopportabile l’attesa.
Non ho mai saputo aspettare qualcosa o qualcuno senza fare nulla nel frattempo; così, d’istinto, guardai il cellulare e trovai un messaggio della mia amica: “sto arrivando”.
Detta da lei, quella frase poteva significare tutto e niente.
Per cui non la presi molto in considerazione e cominciai a sorseggiare dal bicchiere che era stato lasciato sul tavolo.
Ma quel vino aveva bisogno di prendere aria; quindi posai il bicchiere davanti a me, sospirando la mia rassegnazione.
Alzando gli occhi e attraversando la vetrata con lo sguardo, notai che, oltre a me, c’era solo un altro cliente, seduto su uno sgabello all’interno del locale.
Anche lui aveva quell’aria di chi, aspettando qualcuno e sapendo che potrebbe arrivare da un momento all’altro, si tiene occupato giusto quel tanto che gli permetta di non annoiarsi nell’attesa.
Ci muovevamo in maniera quasi simmetrica: guardava distrattamente in giro, ogni tanto controllava il cellulare e poi tornava a sorseggiare lentamente dal bicchiere, per riempire tutti quegli istanti vuoti che andavano dilatandosi nel tempo che scorreva intorno a noi.
Mi accorsi che potevo guardarlo attraverso il vetro e sovrapporre a lui ciò che la vetrina esterna rispecchiava di me.
Era come se le nostre esistenze, separate solo da quella lastra di vetro, potessero incontrarsi in una dimensione sconosciuta, dove noi due eravamo i soli protagonisti.
Sollevando il bicchiere, provai a muovere un dito in modo che la mia immagine riflessa riuscisse a solleticare il suo naso.
E lo vidi toccarsi il viso nel punto esatto in cui lo avevo sfiorato, virtualmente.
Continuai quello strano gioco, perché non avevo niente di meglio da fare per ingannare l’attesa e perché la faccenda diventava sempre più interessante.
Muovendo ancora le dita, provai a toccargli la fronte; e questa volta lo vidi agitare un mano davanti a sé, come per scacciare un insetto inesistente.
Sforzandomi di non ridere, lo guardavo difendersi da qualcosa di invisibile: era difficile smettere di divertirmi a sua insaputa.
Poi decisi di aumentare il rischio: e provai a passare la mano sulla sua nuca, curiosa di vedere come avrebbe reagito.
Lo vidi guardarsi attorno stupito, come cercando qualcuno che lo avesse sorpreso alle spalle.
E poi si accorse di me.
Che lo osservavo da quello strano punto di vista, come un visitatore di un acquario che guarda i pesci al di qua della vasca.
Presa da infantile imbarazzo, pensai di far finta di niente; ma quella sensazione era troppo speciale per perderla, annegandola in uno stupido senso di vergogna.
E, come se lo conoscessi da sempre, spostai la mano, riflessa nel vetro, sopra la sua, posata sul tavolino.
La sua espressione lasciava capire che aveva percepito e sentito distintamente l’intensa sensazione di quello strano contatto.
E ne era stupito, piacevolmente stupito.
Non riuscivo più a staccare la mia mano dalla sua; ero certa di non aver mai provato niente di simile; stordita da una febbre intensa e magica, da un incantesimo che mi costringeva a restare immobile, a cogliere ogni istante di quel contatto inspiegabile e misteriosamente irresistibile.
Non so per quanto siamo rimasti così, con quella strana espressione di divertita meraviglia sui nostri volti.
Nessuno dei due sembrava volersi staccare dall’altro.
Quando, all’improvviso, la magia fu interrotta dall’arrivo della mia amica.
Non l’avevo neanche sentita arrivare, eppure lei diceva d’avermi chiamata mentre s’avvicinava a me, che le sembravo sotto ipnosi e che aveva persino pensato che stessi male.
Sedendosi accanto a me, mi chiese se andasse tutto bene: e io, come risvegliandomi da un sonno profondo, sorrisi nel modo migliore che potevo, rassicurandola che era tutto a posto.
Mentre la ascoltavo raccontarmi le solite cose, guardai di nuovo oltre quel vetro. Lui era ancora là, mi guardava; forse stava cercando una risposta.
Io non avevo nessuna spiegazione neanche lontanamente logica.
Riuscivo solo a pensare che eravamo due anime perse, ritrovate in quella strana dimensione privata e trasparente, raccolte nel caldo abbraccio di un bicchiere di vino in una afosa sera d’estate.
Due destini incrociatisi per caso, legati per un istante da un sorso di irripetibile, inspiegabile felicità.
Era tardo pomeriggio e uno stupido, fastidioso vento caldo mi accolse appena scesi in strada.
Un'aria umida, appiccicosa, odiosamente estiva e mi avvolgeva come una pellicola trasparente.
Per un attimo fui tentata di rientrare in casa, a cercare il conforto e la fresca compagnia dell’aria condizionata: ma lasciai perdere l'idea, quindi continuai a camminare, mentre l’afa diventava tutt’uno con i miei vestiti.
Il locale distava poche centinaia di metri da casa mia, non più di dieci minuti di cammino.
Trovato un tavolino libero sotto la tettoia davanti la vetrata del locale, mi sedetti e sistemai la borsa sulla sedia accanto a me.
Immaginavo che avrei dovuto aspettare un po’: la mia amica aveva spesso dei piccoli imprevisti che la facevano arrivare in ritardo; ma sapeva sempre farsi perdonare, raccontando le sue avventure con un tono talmente ironico e divertente che ogni volta riusciva a cancellare il fastidio d’averla aspettata.
Decisi di ordinare comunque da bere, per rendere più sopportabile l’attesa.
Non ho mai saputo aspettare qualcosa o qualcuno senza fare nulla nel frattempo; così, d’istinto, guardai il cellulare e trovai un messaggio della mia amica: “sto arrivando”.
Detta da lei, quella frase poteva significare tutto e niente.
Per cui non la presi molto in considerazione e cominciai a sorseggiare dal bicchiere che era stato lasciato sul tavolo.
Ma quel vino aveva bisogno di prendere aria; quindi posai il bicchiere davanti a me, sospirando la mia rassegnazione.
Alzando gli occhi e attraversando la vetrata con lo sguardo, notai che, oltre a me, c’era solo un altro cliente, seduto su uno sgabello all’interno del locale.
Anche lui aveva quell’aria di chi, aspettando qualcuno e sapendo che potrebbe arrivare da un momento all’altro, si tiene occupato giusto quel tanto che gli permetta di non annoiarsi nell’attesa.
Ci muovevamo in maniera quasi simmetrica: guardava distrattamente in giro, ogni tanto controllava il cellulare e poi tornava a sorseggiare lentamente dal bicchiere, per riempire tutti quegli istanti vuoti che andavano dilatandosi nel tempo che scorreva intorno a noi.
Mi accorsi che potevo guardarlo attraverso il vetro e sovrapporre a lui ciò che la vetrina esterna rispecchiava di me.
Era come se le nostre esistenze, separate solo da quella lastra di vetro, potessero incontrarsi in una dimensione sconosciuta, dove noi due eravamo i soli protagonisti.
Sollevando il bicchiere, provai a muovere un dito in modo che la mia immagine riflessa riuscisse a solleticare il suo naso.
E lo vidi toccarsi il viso nel punto esatto in cui lo avevo sfiorato, virtualmente.
Continuai quello strano gioco, perché non avevo niente di meglio da fare per ingannare l’attesa e perché la faccenda diventava sempre più interessante.
Muovendo ancora le dita, provai a toccargli la fronte; e questa volta lo vidi agitare un mano davanti a sé, come per scacciare un insetto inesistente.
Sforzandomi di non ridere, lo guardavo difendersi da qualcosa di invisibile: era difficile smettere di divertirmi a sua insaputa.
Poi decisi di aumentare il rischio: e provai a passare la mano sulla sua nuca, curiosa di vedere come avrebbe reagito.
Lo vidi guardarsi attorno stupito, come cercando qualcuno che lo avesse sorpreso alle spalle.
E poi si accorse di me.
Che lo osservavo da quello strano punto di vista, come un visitatore di un acquario che guarda i pesci al di qua della vasca.
Presa da infantile imbarazzo, pensai di far finta di niente; ma quella sensazione era troppo speciale per perderla, annegandola in uno stupido senso di vergogna.
E, come se lo conoscessi da sempre, spostai la mano, riflessa nel vetro, sopra la sua, posata sul tavolino.
La sua espressione lasciava capire che aveva percepito e sentito distintamente l’intensa sensazione di quello strano contatto.
E ne era stupito, piacevolmente stupito.
Non riuscivo più a staccare la mia mano dalla sua; ero certa di non aver mai provato niente di simile; stordita da una febbre intensa e magica, da un incantesimo che mi costringeva a restare immobile, a cogliere ogni istante di quel contatto inspiegabile e misteriosamente irresistibile.
Non so per quanto siamo rimasti così, con quella strana espressione di divertita meraviglia sui nostri volti.
Nessuno dei due sembrava volersi staccare dall’altro.
Quando, all’improvviso, la magia fu interrotta dall’arrivo della mia amica.
Non l’avevo neanche sentita arrivare, eppure lei diceva d’avermi chiamata mentre s’avvicinava a me, che le sembravo sotto ipnosi e che aveva persino pensato che stessi male.
Sedendosi accanto a me, mi chiese se andasse tutto bene: e io, come risvegliandomi da un sonno profondo, sorrisi nel modo migliore che potevo, rassicurandola che era tutto a posto.
Mentre la ascoltavo raccontarmi le solite cose, guardai di nuovo oltre quel vetro. Lui era ancora là, mi guardava; forse stava cercando una risposta.
Io non avevo nessuna spiegazione neanche lontanamente logica.
Riuscivo solo a pensare che eravamo due anime perse, ritrovate in quella strana dimensione privata e trasparente, raccolte nel caldo abbraccio di un bicchiere di vino in una afosa sera d’estate.
Due destini incrociatisi per caso, legati per un istante da un sorso di irripetibile, inspiegabile felicità.
domenica 17 settembre 2006
venerdì 15 settembre 2006
proprietà transitiva tra blog?
Ma se A è amica di B e B - oltre che omonima - è amica di C, com'è che A non è amica di C?
Dopo averle "seguite" tutt'e tre da più di un anno, questo è quanto ho dedotto.
Vediamo chi risolverà l'arcano.
Sarà che sto leggendo "Gli enigmi dei Vedovi Neri" e mi s'è svegliato il pallino per i misteri?
Dopo averle "seguite" tutt'e tre da più di un anno, questo è quanto ho dedotto.
Vediamo chi risolverà l'arcano.
Sarà che sto leggendo "Gli enigmi dei Vedovi Neri" e mi s'è svegliato il pallino per i misteri?
giovedì 14 settembre 2006
domande e risposte
La vita mi regala spesso quello che non mi serve più.
O quello che ho smesso di desiderare.
Felicità è aver bisogno di ciò che si può avere.
E le tasche del mondo sono piene di cose che nessuno vuole più.
Forse è vero, come dice Baricco, che "Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde".
Ma ho l'impressione che, se trascorre troppo tempo, finisco per dimenticare quale fosse la domanda.
O quello che ho smesso di desiderare.
Felicità è aver bisogno di ciò che si può avere.
E le tasche del mondo sono piene di cose che nessuno vuole più.
Forse è vero, come dice Baricco, che "Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde".
Ma ho l'impressione che, se trascorre troppo tempo, finisco per dimenticare quale fosse la domanda.
il vero viaggio
Oggi è uno di quei giorni in cui niente di quello che DESIDERO accade.
Non che sia una brutta giornata, però.
Si, piove, ma non mi da fastidio, anzi.
Ma tutto quello che vorrei succedesse, semplicemente, non accade.
E resto lì, a guardare una sfera di cristallo opaca, che non riflette nulla sulla superficie e non le si può neanche guardare attraverso.
Il caldo della scorsa settimana, oltre che togliermi il fiato e la forza di scalare i paesi dell'Umbria, mi ha rovinato quel poco di entusiasmo che avevo riposto nel viaggio.
Io NON amo viaggiare, ogni volta me ne rendo conto sempre di più.
Eppure ogni volta ci ricasco, compio sforzi disumani per preparare bagagli, seguire itinerari, adattarmi a nuove culture, nuovi contorni, nuove realtà.
Poi, per una strana forma di magia, quando sono a destinazione, divento parte integrante del luogo, come se non fossi una turista, ma una del posto.
E allora ripartire è una fatica doppia; dopo aver compiuto un miracolo per reinventare un'altra me, che non sapevo d'avere nascosta da qualche parte, dover impacchettare le sensazioni e andarsene sembra davvero inutile.
Tornare a casa è smettere di faticare.
Il vero riposo comincia dopo aver disfatto l'ultima valigia, scaricato l'ultimo sacchetto contenente ricordi e frammenti della vacanza.
Viaggiare non fa per me.
La fantasia è il mio unico mezzo di spostamento.
I miei pensieri l'unico bagaglio che voglio portare con me, senza bisogno di piegarli, chiuderli e sentirne il peso sulla schiena.
Seduta in terra, tra ricordi e sensazioni, posso partire e tornare in un battito di ciglia, in un respiro profondo andare al di là delle mie certezze e tornare quando voglio.
Senza bisogno di valigie, strade da percorrere e orari da rispettare.
Il viaggio che preferisco e che sento mio è quello dentro di me.
Ed è appena cominciato.
Non che sia una brutta giornata, però.
Si, piove, ma non mi da fastidio, anzi.
Ma tutto quello che vorrei succedesse, semplicemente, non accade.
E resto lì, a guardare una sfera di cristallo opaca, che non riflette nulla sulla superficie e non le si può neanche guardare attraverso.
Il caldo della scorsa settimana, oltre che togliermi il fiato e la forza di scalare i paesi dell'Umbria, mi ha rovinato quel poco di entusiasmo che avevo riposto nel viaggio.
Io NON amo viaggiare, ogni volta me ne rendo conto sempre di più.
Eppure ogni volta ci ricasco, compio sforzi disumani per preparare bagagli, seguire itinerari, adattarmi a nuove culture, nuovi contorni, nuove realtà.
Poi, per una strana forma di magia, quando sono a destinazione, divento parte integrante del luogo, come se non fossi una turista, ma una del posto.
E allora ripartire è una fatica doppia; dopo aver compiuto un miracolo per reinventare un'altra me, che non sapevo d'avere nascosta da qualche parte, dover impacchettare le sensazioni e andarsene sembra davvero inutile.
Tornare a casa è smettere di faticare.
Il vero riposo comincia dopo aver disfatto l'ultima valigia, scaricato l'ultimo sacchetto contenente ricordi e frammenti della vacanza.
Viaggiare non fa per me.
La fantasia è il mio unico mezzo di spostamento.
I miei pensieri l'unico bagaglio che voglio portare con me, senza bisogno di piegarli, chiuderli e sentirne il peso sulla schiena.
Seduta in terra, tra ricordi e sensazioni, posso partire e tornare in un battito di ciglia, in un respiro profondo andare al di là delle mie certezze e tornare quando voglio.
Senza bisogno di valigie, strade da percorrere e orari da rispettare.
Il viaggio che preferisco e che sento mio è quello dentro di me.
Ed è appena cominciato.
lunedì 4 settembre 2006
cultura moderna?
"I find television very educating. Every time somebody turns on the set, I go into the other room and read a book."
(Groucho Marx)
Trovo la televisione molto istruttiva. Ogni volta che qualcuno ne accende una, vado in un'altra stanza a leggere un libro.
vita da bestie?
ehhhhhhhhhh quanto mi mancheranno questi due adorabili scansafatiche...
Va beh, sono solo 6 giorni, ma sembreranno un'eternità.
(extra)terrestri del nuovo millennio
Si fa un sacco di fatica a capire la propria zolla di terra, non resta molto per capire il resto del campo.
Ma forse in ogni zolla, a saperla leggere, c'è il campo intero.
Ma forse in ogni zolla, a saperla leggere, c'è il campo intero.
traslochi e doveri
E' vero, ho traslocato.
Al vecchio indirizzo http://cats.blog.excite.it non c'è neanche un cartello con scritto "ci siamo trasferiti".
E' stata una decisione drastica ed improvvisa, anche se da tempo meditavo di andarmene, di cambiare, per così dire, aria.
Di tutte le cose che volevo e vorrei ancora cambiare nella mia vita, il blog era una di quelle a cui potevo rimediare subito.
E così è stato.
Via. Un taglio netto, due o tre scatoloni di vecchi post messi via per un eventuale ripensamento e ripescamento futuro.
Però non dimentico certi doveri.
Uno dei quali era ed è, tuttora, questo.
Ovviamente, come allora, ringrazio lei - l'ideatrice - nonchè loro per la segnalazione. E poi qui, qui e qui.
Al vecchio indirizzo http://cats.blog.excite.it non c'è neanche un cartello con scritto "ci siamo trasferiti".
E' stata una decisione drastica ed improvvisa, anche se da tempo meditavo di andarmene, di cambiare, per così dire, aria.
Di tutte le cose che volevo e vorrei ancora cambiare nella mia vita, il blog era una di quelle a cui potevo rimediare subito.
E così è stato.
Via. Un taglio netto, due o tre scatoloni di vecchi post messi via per un eventuale ripensamento e ripescamento futuro.
Però non dimentico certi doveri.
Uno dei quali era ed è, tuttora, questo.
Ovviamente, come allora, ringrazio lei - l'ideatrice - nonchè loro per la segnalazione. E poi qui, qui e qui.
sabato 2 settembre 2006
pieni e vuoti
Ho capito che la mia vita è piena di vuoti da riempire.
E che quando trovo qualcosa con cui riempirli, penso solo a quando saranno di nuovo vuoti.
Essendo vuoti a rendere, prima o poi qualcuno viene a riprenderseli.
E mi accorgo di quanto fossero importanti solo quando non ci sono più.
E che quando trovo qualcosa con cui riempirli, penso solo a quando saranno di nuovo vuoti.
Essendo vuoti a rendere, prima o poi qualcuno viene a riprenderseli.
E mi accorgo di quanto fossero importanti solo quando non ci sono più.
Iscriviti a:
Post (Atom)