mercoledì 15 agosto 2018
LIKE A BRIDGE OVER A TROUBLED CITY
A Genova sono nata 50 anni fa e sono cresciuta; in 22 anni di vita ligure, ho spesso percorso questo ponte, soprattutto andando e tornando dalle vacanze in Riviera di Ponente.
Ho scoperto solo ieri il suo nome, “Ponte Morandi”: io l’ho sempre chiamato “il ponte delle altalene”, un nome che evocava leggerezza, ben lontana dalla peso della tragedia di ieri, inaccettabile, inammissibile, come l’impotenza che si prova davanti a catastrofi del genere.
Soprattutto per il fatto che nessuno pagherà, davvero, per questo CRIMINE.
Gli italiani, si sa, sono, perlopiù, un popolo incostante e con POCHISSIMO senso civico, nelle piccole e nelle grandi cose.
E sebbene questa tragedia non verrà dimenticata in fretta, finirà, comunque, prima o poi, insabbiata come tutte le altre che l’hanno preceduta.
Al di là dello sconforto per l’accaduto, ciò che più mi amareggia è vedere confermata la “consuetudine” per cui, finché non ci “scappano” i morti, qui nessuno fa un cazzo.
E comunque non mi illudo che da oggi cambierà qualcosa.
Né da domani, visto che oggi (non per me, ché è solo un altro giorno in cui arrivare a sera) è comunque ferragosto e ci sarà chi penserà solo al mare, alle ferie, al divertimento, alle cazzate.
“Povera Italia” diceva sempre mio nonno, che pure ne aveva viste tante.
E quanto aveva ragione.
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