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la buona...
la buffa!
lunedì 27 febbraio 2012
domenica 26 febbraio 2012
una vita a metà (sottotitolo: quella che non sono più)
Una settimana e ventidue anni fa iniziava la mia "nuova" vita: metà trascorsa là e metà qui.
Ricordo ancora quel giorno, l'abbraccio dei miei nonni, che non avrei più rivisto e quello dei miei genitori, increduli che io, proprio io, che non sapevo "neanche stirare" (come sottolineò più volte mia madre) sarei partita per andare a vivere per conto mio, a più di quattrocento chilometri da casa.
Senza pensare che per me, casa, sarebbe stato ovunque mi fossi trovata bene.
Ammesso che ciò fosse possibile...
Oggi, riguardando con gli occhi della memoria, ripassando mentalmente questi "secondi" ventidue anni, questa metà vita trascorsa in terra padana, mi appare assolutamente chiara una verità: che quella che ero non esiste più.
E non in senso puramente cronologico, ma semmai in senso esistenziale.
Non esiste più quella "me" che viveva ogni cosa con entusiasmo ed emozioni, forse anche troppe, ma comunque genuine e spontanee.
Non esiste più quella "me" che trovava conforto nella bellezza delle cose, che trasformava il proprio dolore in qualcos altro; quella che leggeva, scriveva, dipingeva, cantava e, a fasi alterne, si imbarcava in avventure creative di vario tipo, come confermato da pile di libri e riviste a tema (decoupage, candele, paste sintetiche, acquarelli, punto croce, tempere...).
Non esiste più quella "me" che NON dimenticava MAI un compleanno di un amico o un'amica, ai tempi in cui non c'era fessbuc a ricordarti i genetliaci altrui.
Non esiste più quella "me" che dormiva bene ogni notte e si svegliava "nuova" ogni mattina, pronta a percorrere un'altra giornata, qualunque sfida portasse.
Non esiste più quella "me" che, con un pizzico di legittima vanità, amava prendersi cura di se stessa, confortata dal sentirsi dire che non dimostrava gli anni che aveva.
Quella che ero è morta: sepolta sotto un quinquennio eufemisticamente difficile, sotto una montagna di (per non dire altro) amarezza, sconforto e dolore, proprio e, per quel che vale, altrui.
Oggi al suo posto c'è una persona che solo grazie a loro trova la forza di alzarsi dal letto e di affrontare ciò che le capiterà, più per senso del dovere che per reale convinzione di riuscire a farcela un'altra volta.
C'è un'anima stanca, un corpo ingrigito e un cuore ammaccato, tenuti insieme non so neanch'io da cosa.
Giacché, se di energia si tratta, dev'essere davvero ben nascosta, perché mi sembra di vivere ogni giorno in uno status di "riserva" costante.
E chissà se avrò ancora la fortuna, prima o poi, di poter "fare il pieno".
Possibilmente, di serenità.
Ricordo ancora quel giorno, l'abbraccio dei miei nonni, che non avrei più rivisto e quello dei miei genitori, increduli che io, proprio io, che non sapevo "neanche stirare" (come sottolineò più volte mia madre) sarei partita per andare a vivere per conto mio, a più di quattrocento chilometri da casa.
Senza pensare che per me, casa, sarebbe stato ovunque mi fossi trovata bene.
Ammesso che ciò fosse possibile...
Oggi, riguardando con gli occhi della memoria, ripassando mentalmente questi "secondi" ventidue anni, questa metà vita trascorsa in terra padana, mi appare assolutamente chiara una verità: che quella che ero non esiste più.
E non in senso puramente cronologico, ma semmai in senso esistenziale.
Non esiste più quella "me" che viveva ogni cosa con entusiasmo ed emozioni, forse anche troppe, ma comunque genuine e spontanee.
Non esiste più quella "me" che trovava conforto nella bellezza delle cose, che trasformava il proprio dolore in qualcos altro; quella che leggeva, scriveva, dipingeva, cantava e, a fasi alterne, si imbarcava in avventure creative di vario tipo, come confermato da pile di libri e riviste a tema (decoupage, candele, paste sintetiche, acquarelli, punto croce, tempere...).
Non esiste più quella "me" che NON dimenticava MAI un compleanno di un amico o un'amica, ai tempi in cui non c'era fessbuc a ricordarti i genetliaci altrui.
Non esiste più quella "me" che dormiva bene ogni notte e si svegliava "nuova" ogni mattina, pronta a percorrere un'altra giornata, qualunque sfida portasse.
Non esiste più quella "me" che, con un pizzico di legittima vanità, amava prendersi cura di se stessa, confortata dal sentirsi dire che non dimostrava gli anni che aveva.
Quella che ero è morta: sepolta sotto un quinquennio eufemisticamente difficile, sotto una montagna di (per non dire altro) amarezza, sconforto e dolore, proprio e, per quel che vale, altrui.
Oggi al suo posto c'è una persona che solo grazie a loro trova la forza di alzarsi dal letto e di affrontare ciò che le capiterà, più per senso del dovere che per reale convinzione di riuscire a farcela un'altra volta.
C'è un'anima stanca, un corpo ingrigito e un cuore ammaccato, tenuti insieme non so neanch'io da cosa.
Giacché, se di energia si tratta, dev'essere davvero ben nascosta, perché mi sembra di vivere ogni giorno in uno status di "riserva" costante.
E chissà se avrò ancora la fortuna, prima o poi, di poter "fare il pieno".
Possibilmente, di serenità.
martedì 14 febbraio 2012
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