domenica 11 dicembre 2005

il caffè delle quattro

















Interno bar. Ore 11 del mattino: giornata soleggiata di ottobre, l’aria è ancora tiepida, le prime foglie ingiallite cominciano a staccarsi dai rami e cadono sul marciapiede di fronte al bar.
Una luce rosata si stempera nella calda atmosfera del locale, come se le sedie e i tavoli di legno si fondessero insieme in un’alternarsi di tonalità tra il giallo ocra e le venature del faggio dorato.
Per tre lati il locale è foderato da scaffali asimmetrici, dove libri multiformi e variamente colorati fanno mostra di se, anima culturale mista al profumo di terre lontane.
Il quarto lato, la vetrina, è semplice e senza elementi decorativi, per lasciar meglio intravedere l’interno, col suo misto di dorsi di libri e ricette di caffè e dolcezze più svariate.
Appoggiata alla vetrata una solida ma semplice mensola, vicino alla quale si trovano alcuni sgabelli, rivolti verso l’esterno: sono i posti più ambiti dalla clientela, perché da lì si può gustare un caffè o uno spuntino veloce, senza perdere di vista il mondo che continua a correre. Che è poi il grande guaio dell’umanità moderna: non avere tempo di fermarsi a riprendere fiato e perdere tempo a pensare quanto sarebbe bello poterlo fare.

Jane sorseggia un cappuccino, seduta su uno sgabello, e guarda fuori. Sospira. Le sue lunghe dita delicate trattengono la tazza a mezz’aria, come se posarla sul piccolo bancone potesse interrompere il flusso dei suoi pensieri.

Sono fuori davanti la vetrina, approfittando del momento di relativa calma prima dell’ora di punta; sto spazzando via le foglie e faccio due chiacchiere con Clare, che fuma, distrattamente, avvolta in una tenera sciarpa bianca di cachemire che fa risaltare ancor di più il profondo azzurro dei suoi occhi.

Dentro, parzialmente nascosta da espositori di caramelle e snacks, Claude legge, assorta, l’ultimo libro del suo autore preferito. Indossa una felpa azzurra, con il colletto della camicia di jeans che spunta fuori, un po’ tirato su stile Katherine Hepburn e i lunghi capelli scuri, trattenuti dalla solita matita che si porta sempre appresso, ricadono con gradevole casualità tra il colletto e le spalle.

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