Non pretendo certo una vita perfetta.
Nessuno ce l’ha, probabilmente.
Ma sono stanca, troppo stanca.
Sono SETTE anni che tutto va sempre peggio: neanche avessi
rotto uno specchio.
O forse sì e non me lo ricordo.
Sette anni non in Tibet, ma in continua angoscia.
E se non è angoscia, è magone.
E se non è magone, la tregua è troppo breve per potersi
riprendere dall’ultima legnata.
Che arriva, cinica e bastarda, ogni volta che cerco, pur
affranta e logora, di tirar su la testa.
Una testa di cui, un tempo, potevo andar fiera: per la
cultura, per la memoria, per la curiosità.
Quella stessa testa che, oggi, è fatta a buchi.
Come il gruyère. O l’emmenthal.
Insomma, quello.
Vorrei, almeno un giorno, da persona normale.
Quella che i miei detestabilmente amati inglesi definiscono “ordinary
people”.
Vorrei dover pensare alla prova costume.
A dove andare in ferie ad agosto (ferie che per me sono un
lusso in tutti i sensi, in questo maledetto settennato).
A chi vincerà i prossimi mondiali di calcio. Dei quali,
peraltro, non mi frega assolutamente nulla, ma dovrò ugualmente
subirne la nefasta invasione nella quotidianità.
Ad aspettare i saldi per comprarmi le scarpe alla moda.
Anche se per me, moda significa SCOMODO; quindi sono ferma
pressocché agli anni ’80.
E non me ne vogliano gli studiosi di stile e di eleganza. Ai
quali, lo sappiano, va la mia più benevola indifferenza.
Dicevo, problemi normali da persone normali.
Ma la normalità è un lusso, a quanto pare.
Figurarsi la serenità.