"Perchè piangi?".
Se avessi avuto un euro (o una lira) ogni volta che mi hanno fatto questa domanda, beh, oggi sarei tranquillamente milionaria.
Forse miliardaria.
Piangere è liberatorio, è una funzione fisiologica come dormire, digerire, respirare.
Semplice: fa parte della vita.
Perlomeno della mia.
Ma no.
Piangere
DEVE essere segno che qualcosa non va.
E grazie, fin là ci arrivavo anche io.
Ma invece di tenermi dentro quello che non va, lo butto fuori.
Tutto qui.
Non è una tragedia il pianto, è uno sfogo, quando il peso delle cose insopportabili diventa enorme.
Banale, dirà qualcuno.
E invece no.
A quanto pare, soprattutto gli uomini, fanno fatica a capire questo semplice concetto.
Per loro piangere è debolezza, è essere incapaci di affrontare a testa bassa e a muso duro la vita.
Eh, no cari miei.
Piangere è una gran cosa.
Ti toglie i nodi dalla gola, poi dallo stomaco e infine dall'anima.
Piangere è una salvezza, non la disperazione.
E' il dolore che si scioglie, acqua e sale che lavano via l'amarezza che resta in bocca per troppo tempo, quando si è costretti a far finta che tutto vada bene. O che andrà meglio domani.
Fatemi un piacere.
La prossima volta che vedrete una donna in lacrime, qualunque sia il rapporto che vi lega a lei (madre, sorella, moglie, fidanzata, collega, vicina di casa, vicina d'autobus, di treno, d'aereo, una che fa la coda in posta... insomma, una femmina
lacrimante), non chiedetele "perchè piangi?", con quel tono che vorrebbe esprimere comprensione e invece rivela
tutta la vostra incapacità di capire.
Siate cavalieri. Porgetele un fazzoletto.
Pulito, possibilmente.
Male che vada vi risponderà che ha già il suo.
Ma, almeno, per un momento, le avrete reso la vita più leggera.