martedì 13 dicembre 2005

luminosità felina

(Cindy)
Le chat ouvrit les yeux.
Le soleil y entra.
Le chat ferma les yeux.
Le soleil y resta.
Voila' pourquoi, le soir,
quand le chat se reveille,
j'apercois dans le noirdeux morceaux de soleil.

Traduzione:

Il gatto apre gli occhi,
il sole vi entra,
il gatto chiude gli occhi,
il sole vi rimane imprigionato.
Ecco perchè, la sera,
quando il gatto si risveglia,
mi appaiono nel buio della notte
due raggi di sole

domenica 11 dicembre 2005

il caffè delle quattro

















Interno bar. Ore 11 del mattino: giornata soleggiata di ottobre, l’aria è ancora tiepida, le prime foglie ingiallite cominciano a staccarsi dai rami e cadono sul marciapiede di fronte al bar.
Una luce rosata si stempera nella calda atmosfera del locale, come se le sedie e i tavoli di legno si fondessero insieme in un’alternarsi di tonalità tra il giallo ocra e le venature del faggio dorato.
Per tre lati il locale è foderato da scaffali asimmetrici, dove libri multiformi e variamente colorati fanno mostra di se, anima culturale mista al profumo di terre lontane.
Il quarto lato, la vetrina, è semplice e senza elementi decorativi, per lasciar meglio intravedere l’interno, col suo misto di dorsi di libri e ricette di caffè e dolcezze più svariate.
Appoggiata alla vetrata una solida ma semplice mensola, vicino alla quale si trovano alcuni sgabelli, rivolti verso l’esterno: sono i posti più ambiti dalla clientela, perché da lì si può gustare un caffè o uno spuntino veloce, senza perdere di vista il mondo che continua a correre. Che è poi il grande guaio dell’umanità moderna: non avere tempo di fermarsi a riprendere fiato e perdere tempo a pensare quanto sarebbe bello poterlo fare.

Jane sorseggia un cappuccino, seduta su uno sgabello, e guarda fuori. Sospira. Le sue lunghe dita delicate trattengono la tazza a mezz’aria, come se posarla sul piccolo bancone potesse interrompere il flusso dei suoi pensieri.

Sono fuori davanti la vetrina, approfittando del momento di relativa calma prima dell’ora di punta; sto spazzando via le foglie e faccio due chiacchiere con Clare, che fuma, distrattamente, avvolta in una tenera sciarpa bianca di cachemire che fa risaltare ancor di più il profondo azzurro dei suoi occhi.

Dentro, parzialmente nascosta da espositori di caramelle e snacks, Claude legge, assorta, l’ultimo libro del suo autore preferito. Indossa una felpa azzurra, con il colletto della camicia di jeans che spunta fuori, un po’ tirato su stile Katherine Hepburn e i lunghi capelli scuri, trattenuti dalla solita matita che si porta sempre appresso, ricadono con gradevole casualità tra il colletto e le spalle.

venerdì 2 dicembre 2005

scompensi temporali

C'è sempre troppo poco tempo, ecco la chiave di tutto.
Poco tempo per riposare, poco tempo per ridere, poco tempo per dire cose che poi ti pentirai di non aver detto e poco, troppo poco tempo per rimediare a quelle che non avresti dovuto mai dire.
Però hai sempre tempo per lavorare, per infuriarti, per pensar male e dire cattiverie; devi trovare il tempo per fare la spesa, stare in coda o semplicemente guidare per andare in qualche posto.
E a volte non importa neanche dove: basta far passare il tempo.
Così scorrono anni prima che riesca a riordinare quelle vecchie foto che, ormai, non hanno neanche più una precisa identità temporale; una volta, solo guardando persone e luoghi ritratti, riconoscevi immediatamente il periodo in cui erano state scattate. Adesso è già tanto che riesca a ricordare perchè erano state scattate.

E passano anni prima di riuscire a leggere meno della metà dei libri che possiedi.
Alcuni giacciono intonsi fin dal giorno in cui furono acquistati.
Altri, forse più fortunati, sono stati spostati una volta o due negli anni e, almeno in quel momento, qualcuno s'è preso cura di loro.
Anche se solo per una veloce spolverata e un debole, patetico proposito di riprenderli in mano quanto prima.

Il tempo NON è una costante: e l'ho capito non solo grazie ad anni di filosofia fantascientifica.
Lo capisco ogni volta che mi ritrovo alle sei del pomeriggio di una qualunque domenica: dov'è che ho sprecato quel poco tempo prezioso che volevo usare nel modo migliore, magari per fare tutte quelle cose, tanto desiderate, per le quali non si trova mai un momento adatto?Come mai 48 ore di fine settimana volano più di dieci minuti di un qualsiasi lunedì di lavoro?
Ma allora è proprio vero che tutto è relativo.

Come è inutile cercare di darmi la colpa per aver gettato via, almeno in apparenza e solo ora che volge al termine, un altro fine settimana.
E' inutile, perchè c'è sempre troppo poco tempo per fare quello che vorresti fare.

E questa è l'unica certezza.

(n.b. questo risale al 2002 ... )